Riportiamo l’intervento di Elisabetta Sormani alla conclusione dell’incontro svolto a Villa Ginevri l’1 e 2 febbraio.
Chi c’era anche nel corso del primo weekend qui, due anni fa, ricorderà l’immagine dell’elefante, disegnata da Marta, come metafora della nostra struttura associativa. All’epoca, quando mi chiesero cosa rappresentasse per me, presi il disegno e me lo misi sulla testa
camminando con fatica. Oggi, anche arrivando qui, la sensazione è molto diversa: c’è più leggerezza. Certo, ci chiediamo come portare avanti tutto questo, ma abbiamo imparato che ciò che facciamo va oltre noi stessi. Viviamo nell’esperienza e nell’improvvisazione consapevole, come si diceva prima.
Abbiamo in mano strumenti preziosi: la condivisione comunitaria e i gruppi di condivisione, che richiedono cura e consapevolezza. Il solo fatto di prendersene cura porta risultati che
superano le nostre aspettative. Se guardiamo bene a quando eravamo qui due anni fa, nessuno avrebbe immaginato lo sviluppo che abbiamo avuto, non solo in termini numerici, ma anche in termini di partecipazione attiva. Per questo, non mi sento preoccupata sul come proseguiremo: sappiamo che in questa libertà siamo anche molto responsabili.
Ora abbiamo tre gruppi di lavoro principali: governance, economia e territorialità.
All’interno di questi gruppi ci sono consiglieri, coordinatori, presidenti e referenti dei nodi territoriali. Cerchiamo di individuare persone di riferimento per ciascun gruppo, non per fare tutto da sole, ma per mantenere viva l’attenzione sui temi e non perdere il filo. Il loro compito sarà semplicemente “suonare la sveglia” quando necessario per tenerci attiva sul tema assegnato.
Ringrazio moltissimo Ennio per l’immagine dell’impalcatura, che trovo molto significativa. Il nostro compito è creare una struttura di accompagnamento che permetta alle persone di sperimentarsi con libertà e protezione, non solo per le persone, ma per l’esperienza stessa.
L’istituzione delle APS, ad esempio, non è stato solo un passaggio burocratico, ma un modo per garantire una custodia collettiva delle nostre esperienze, dei confini dei progetti, delle risorse e delle persone coinvolte.
Un aspetto su cui riflettere è come far sperimentare la condivisione nelle nostre comunità in modo che esca all’esterno.
Abbiamo già molte occasioni, come gli incontri tematici che si tengono presso gli spazi delle nostre comunità: la presentazione di un libro, il racconto di esperienze di volontariato, serate dedicate a progetti solidali… Potremmo introdurre in queste occasioni momenti di condivisione strutturata, anche solo cinque minuti per scambiare impressioni con chi ci siede accanto, magari qualcuno che non conosciamo. Abbiamo sperimentato questa modalità con padre Peppe Riggio, che ha presentato il suo libro sulla partecipazione. Dopo l’intervento, abbiamo invitato il pubblico a confrontarsi in piccoli gruppi per qualche minuto. Il risultato? Un dibattito molto più ricco e partecipato. Credo valga la pena provare a inserire queste modalità nelle nostre realtà, per poi confrontarci su come funzionano. Non è diverso da quanto accaduto alla Settimana Sociale di Trieste: sappiamo farlo, dobbiamo solo farlo più spesso. E magari da questi momenti nasceranno nuovi gruppi di condivisione.
Sappiamo di avere una grande pratica sulle relazioni nelle nostre comunità e abbiamo competenze su cui vale la pena confrontarci e approfondire, ad esempio relativamente a
quella che viene chiamata gestione del conflitto. Potrebbe essere un percorso da fare nel gruppo accompagnatori. Infine, un grande grazie alla segreteria, che va sostenuta e potenziata. C’è una difficoltà concreta per il grande impegno documentale e burocratico richiesto dalla normativa e spesso noi comunitari non facilitiamo le cose.
In conclusione, penso che abbiamo una grande opportunità: possiamo portare un messaggio di speranza non solo nelle nostre comunità, ma anche nelle istituzioni con cui collaboriamo, dalla Chiesa alle fondazioni, alle parrocchie. In questi giorni ci è stato chiesto di scrivere una lettera. Io ho intitolato la mia “Cara Chiesa Cattolica”, ma anche cara Fondazione, caro Ente, non chiedeteci solo di condividere risorse economiche, chiedeteci di più. Siamo disponibili a essere presenti, a costruire percorsi insieme. Questo è il valore politico e sociale che
possiamo offrire.
Ecco, buon rientro a tutti! E la prossima volta, se vogliamo lavorare davvero bene, forse dovremmo iniziare già dal venerdì sera. Una mezza giornata in più può fare la differenza.
Grazie!
Elisabetta Sormani