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Arena di Pace di Verona

    Condividiamo con voi il racconto dell’Arena di Pace ricevuto da Luigi Giario

    L’ARENA DI PACE DI VERONA PROMUOVE UN’ALTERNATIVA
    AL SISTEMA MONDIALE DOMINANTE

    Credo che tutti coloro che nel nostro paese da anni operano, in piccolo, come in grande, per la pace avessero nostalgia dell’Arena. E, finalmente dopo 10 anni, pressati da queste terrificanti guerre che insanguinano l’Europa e il vicino Oriente, insieme a tutte quelle altre dimenticate, abbiamo potuto rivivere questa straordinaria esperienza di pace, proprio nel periodo più difficile che la storia recente ricordi.
    Decisivo è stato l’impegno dell’instancabile P. Alex Zanotelli che ha convinto il sindaco e il vescovo di Verona, dicendo loro: “guardate che è fondamentale ritrovare un luogo pubblico dove far ascoltare alla gente un’altra narrativa che non c’è, ma soprattutto per far partire lentamente dei movimenti di base perché la pace può nascere solo dal basso, dai movimenti popolari”.  E questo proprio nel periodo in cui si palesava la possibilità della visita papale. Non poteva esserci coincidenza più favorevole!

    L’evento è stato organizzato invitando organizzazioni attive nei più diversi ambiti, riconducibili al tema della pace, sia cattoliche che laiche. Hanno aderito oltre duecento tra cui Agesci, Acli, Anpi, Focolari, Libera, Rete italiana pace e disarmo, Unione inquilini e molte altre realtà territoriali note e meno note, sparse in tutta Italia come centri culturali antiviolenza, ambientalisti: Numeri pari, Refuges Welcome Italia, Rosa Bianca, Mondo di Comunità e Famiglia – ACF Emilia R, per citarne alcune). Tutte realtà che, tramite loro delegati, (io ho avuto la fortuna di essere uno di questi), hanno partecipato, prima on line, e la vigilia in presenza, a cinque tavoli tematici uniti dalla cultura della   pace: pace e disarmo, democrazia e diritti, lavoro, economia e finanza, ecologia integrale e stili di vita, migrazioni.
    Un’articolazione tesa a sottolineare come la pace non possa essere disgiunta dalla giustizia e, infatti, il motto era: “giustizia e pace si baceranno”. Di più, la pace deve essere declinata in tutte queste articolazioni per uscire dal generico “vogliamo la pace”. Tutti a parole vogliono la pace ma poi non sono disposti a uscire dalla cultura bellicista e neppure a vederla nel suo legame con la giustizia sociale e ambientale. Non sono disposti a entrare nel concreto delle scelte che possono favorirla, promuovendo il dialogo internazionale, coinvolgendo gli ultimi e i penultimi a partire dai loro pressanti problemi: salute, casa, lavoro, istruzione.

    Non è possibile rendere qui la ricchezza del dibattito realizzato nel lungo lavoro di preparazione conclusosi venerdì’ 17 maggio con l’incontro appena accennato. Io ho partecipato al tavolo “lavoro economia e finanza” e posso solo evidenziare alcune questioni che non hanno trovato posto nel documento finale, ridotto all’osso per ovvi motivi. Erano presenti oltre ai due amici imprenditori israeliano e palestinese che sono stati forse i protagonisti più significativi anche dell’incontro diretto con il papa, Emilce Cuda, teologa e filosofa argentina, Segretario della Pontificia Commissione per l’America Latina. Nel suo intervento ha dichiarato con forza che la pace è “organización de esperanza política” e si è soffermata sulla centralità del diritto al lavoro sostenuto da un salario giusto e dignitoso senza il quale non si raggiunge la vera pace, perché la vera pace è la giustizia sociale!  Nel dibattito si è parlato del ruolo della finanza che dev’essere etica, cioè non speculativa e che occorrerebbe dichiarare pubblicamente la speculazione finanziaria un crimine contro l’umanità. Chi specula con i derivati sul prezzo del grano, (l’esempio è mio) compie un crimine efferato. Anch’io ho potuto dire la mia, accennando alla rilevanza assoluta che attualmente assume la casa, diritto ignorato seppur costituzionalmente garantito. Non si può parlare di famiglia se non si mette a disposizione almeno una casa! Accanto, il tema della città che andrebbe ripensata per costruire relazioni tra i cittadini in modo da favorire il riconoscimento reciproco, presupposto per arrivare al mutuo aiuto nelle più diverse forme. Il quartiere come luogo privilegiato in cui far risaltare il bene comune nella consapevolezza del valore e della convenienza del vicinato solidale, in specie se vissuto comunitariamente che Bruno Volpi, fondatore di “Mondo di Comunità e Famiglia” considerava – cito liberamente – come: “luoghi di incontro, confronto e azione in cui coltivare la prossimità e la fiducia reciproca, le grandi assenti del nostro tempo”, valorizzando le molte esperienze in atto.

    Il lavoro dei tavoli tematici, cui accennavo, ha prodotto due importanti documenti: uno analitico – programmatico e l’altro molto sintetico e propositivo. Quest’ultimo è stato presentato il sabato all’Arena:

     1 – Siamo persone, associazioni, movimenti, reti attive nella costruzione della pace in tutte le sue forme attraverso la nonviolenza. Da Arena 2024 desideriamo intraprendere un cammino comune verso concreti obiettivi di giustizia, democrazia e pace, partendo dal nostro impegno quotidiano per formare alleanze che trasformino la realtà in Italia e nel mondo perché non può esserci la pace in un solo paese.

    2 – Il nostro sguardo è rivolto all’ambiente, che ci ospita, e a tutte le vittime di guerre, violenze, soprusi, sfruttamento, violazioni dei diritti fondamentali, mafie, migrazioni forzate. La pace non è solo assenza di guerra è disarmo, democrazia, giustizia, diritti, cura della casa comune. La pace è uno stile di vita personale e collettivo.

    Chi volesse approfondire le singole tematiche racchiuse nei testi citati può trovarli sul sito “https://www.arenadipace.it/”. Qui riporto dal punto 12: “Chiediamo il cessate il fuoco per tutte le guerre.  Vogliamo la riduzione delle spese militari e la riconversione dell’industria militare, la rimozione delle armi nucleari dall’Italia e l’adesione al Trattato che le proibisce” (…)
    Il colpo d’occhio che offriva l’Arena inondata di sole era straordinario. Un popolo numeroso, festoso ed entusiasta, oltre 12.000 persone – tanti giovani – assiepate sulle scalinate, e 500 delegati nel parterre, tesi all’unisono a sottolineare i momenti più salienti, tantissimi in verità. E sul palco accanto al papa il vescovo di Verona Pompili e P. Zanotelli, presente anche don Ciotti, Carlo Petrini, e Andrea Riccardi, fondatore di Sant’Egidio.
    Devo dire sinceramente che per me, ormai vecchietto, l’emozione è stata grande. Sono consapevole che non posso più fare gran che, non posso certo essere protagonista, ma almeno accompagnare i giovani nel loro percorso di riscatto, questo forse posso ancora farlo. E anche solo immaginarlo mi procura una gioia insperata.

    A questo punto voglio segnalare ciò che, in primis i presenti al parterre, hanno osservato. L’organizzazione della mattinata prevedeva un fitto programma di interventi di personaggi attivi sul fronte della pace, accompagnati dall’esibizione di   artisti sensibili al tema. Il tutto articolato in tre parti: la prima e l’ultima presentate e gestite da Riccardo Iacona e Greta Cristini, mentre la seconda, alla presenza del papa, presentata da Amadeus per la diretta “Speciale TG1”. A molti di noi, quella di Amadeus è parsa una intromissione. Comunque tutto è filato liscio per il tempo in cui Francesco è rimasto con noi. Alla partenza del papa Amadeus ha dichiarato finita la trasmissione, senza rispettare la scaletta per la quale avrebbe dovuto informare il pubblico che Arena proseguiva. Iacona, si è accorto della dimenticanza (?!), e ha provato a salire precipitosamente sul palco per rimediare, ma la sicurezza gliel’ha impedito fino a quando non sono scesi il Papa e Amadeus, ma a quel punto era già troppo tardi, la folla era in gran parte scemata. Così a seguire la parte forse più politica e interessante della giornata, da 12 mila che eravamo siamo rimasti, forse in due mila. Sconcertante…solo una gaffe? In ogni caso la gran parte dei partecipanti si è perso (ma si può recuperare sul sito) un monologo di Bergonzoni degno della sua fama, una toccante intervista di Greta Cristini a Chris Obehi, giovane cantautore nigeriano approdato da noi per le persecuzioni religiose di Boko Haram che ha cantato “Non siamo pesci”.  E, ancora, l’intervento conclusivo di Zanotelli che di certo non avrebbero fatto piacere non dico al governo e a chi lo sostiene, ma all’intero establishment, economico, politico e mediatico.

    P. Alex, infatti non ha concesso sconti a nessuno, paventando un “inverno nucleare e/o un’estate incandescente”, si è posto come propulsore di un grande movimento, dichiaratamente antisistema a 365 gradi, che parta dalla denuncia dello strapotere del sistema finanziario mondiale sempre più militarizzato. Per consentire al 10% della popolazione mondiale, meno di un miliardo di persone, di vivere bene, taluni perfino da nababbi, tale 10% consuma il 90% dei beni prodotti su questo pianeta provocandone la distruzione e facendo crescere ovunque la povertà (anche al suo interno!). Come è possibile, si è chiesto, che miliardi di esclusi non si ribellino? L’unica ragione plausibile è che chi sta bene, è armato fino ai denti. Infatti, l’anno scorso i dati SIPRI di Stoccolma riferiscono che il mondo ha speso 2.240 miliardi di dollari in armi. L’Italia da sola, ha speso 32 miliardi di euro. Perché tutti questi soldi? Prima di tutto per proteggere il nostro stile di vita dell’Occidente che consuma un’enormità di beni che non produce. Non a caso la guerra che prosegue da 60 anni nel Congo, con 10 milioni di morti, è totalmente ignorata. Lì ci sono i minerali per i nostri telefonini, per le nostre tecnologie. Altro che i nostri valori! Ecco con chi siamo in guerra: con i poveri e con il pianeta. Di qui le migrazioni: l’ONU certifica 120 milioni di migranti in tutto il mondo!
    E ha proseguito mettendo in guardia tutti noi, perché questa situazione ha un connotato ideologico che si riassume nel suprematismo bianco. Noi occidentali, più o meno tutti, siamo dominati dal suprematismo derivante da 500 anni di colonizzazione del mondo. Siamo convinti di detenere la vera civiltà e di questo supposto primato culturale e sociale è espressione l’ultradestra europea e americana. È il caso di Trump, di molti partiti europei di destra, ma anche il nostro governo non è estraneo al suprematismo.

    Ultima cosa, la concretezza. P. Alex ci chiede accorato: difendete la costituzione dal premierato e dall’autonomia differenziata. Difendete la legge 185/90 (che esige la trasparenza nell’esportazione delle armi, rende note le “banche armate” e vieta la vendita ai paesi in guerra ndr). Togliete i vostri depositi bancari almeno dalle tre banche più implicate non solo nelle armi ma anche nei fossili e cioè: Unicredit, Intesa-Sanpaolo e Deutsche Bank (tedesca ma con sedi in Italia ndr).
    E l’appello finale: solidarizzate con gli universitari che occupano le facoltà pro-Palestina e ricordatevi che tra due anni ci ritroveremo tutti qui per verificare il cammino fatto in questo periodo.
    Una particolare accentuazione merita la presenza di Francesco, la prima volta di un papa all’Arena!  Non è stato solo un bagno di folla e un evento mediatico, come potrebbe sembrare a chi ha visto la diretta del TG1, ma un evento con forti riflessi politico-ecclesiali, destinato, forse, a creare finalmente i presupposti di una svolta in senso alternativo al sistema dominante che può coinvolgere fattivamente vasti strati di cattolici e laici insofferenti delle derive neocapitalistiche e sovraniste che distruggono persone e pianeta con    armi, inquinamento e diseguaglianze. L’intervento del papa, articolato in risposte agli interventi e alle domande degli esponenti dei vari tavoli tematici, è stato segnato dal no alla guerra e dal sì alla visione comunitaria con cui affrontare le molteplici situazioni che si presentano di volta in volta.Tantissime sarebbero le citazioni da proporre alla lettura, per cui mentre rimando al sito citato, sottolineo quelle che ritengo più pregnanti.

    Alla attivista Mahbouba Seraj, che ha detto: (…)  Nel mio Paese, l’Afghanistan, noi abbiamo avuto l’illusione della democrazia, l’illusione della pace. Da 44 anni a questa parte, il mio Paese è in guerra e vorrei sapere che si può fare. (…) Ma non solo per l’Afghanistan (…): Come possiamo far funzionare l’opera di pace? E noi siamo tutti al Suo fianco, in questa impresa, il papa ha risposto: “La domanda è su quale tipo di leadership può portare avanti questo compito che tu hai espresso così profondamente. La cultura fortemente marcata dall’individualismo – non da una comunità – rischia sempre di far sparire la dimensione della comunità: dove c’è individualismo forte, sparisce la comunità. E questo, se noi passiamo ai termini politici e demografici, forse è la radice delle dittature. Così va. Spariscono la dimensione della comunità, la dimensione dei legami vitali che ci sostengono e ci fanno avanzare. E inevitabilmente produce delle conseguenze anche sul modo in cui si intende l’autorità. Chi ricopre un ruolo di responsabilità in un’istituzione politica, oppure in un’impresa o in una realtà di impegno sociale, rischia di sentirsi investito del compito di salvare gli altri come se fosse un eroe. E questo fa tanto male, questo avvelena l’autorità. E questa è una delle cause della solitudine che tante persone in posizione di responsabilità confessano di sperimentare, come pure una delle ragioni per cui siamo testimoni di un crescente disimpegno. Se l’idea che abbiamo del leader è quella di un solitario, al di sopra di tutti gli altri, chiamato a decidere e agire per conto loro e in loro favore, allora stiamo facendo nostra una visione impoverita e impoverente, che finisce per prosciugare le energie creative di chi è leader e per rendere sterile l’insieme della comunità e della società. È questa è una visione ben lontana da quella espressa dal detto bantu: “Io sono perché noi siamo”. La saggezza di questo detto sta nel fatto che l’accento è posto sul vincolo tra i membri di una comunità: “Noi siamo, io sono”. Nessuno esiste senza gli altri, nessuno può fare tutto da solo. (…)

    Parole queste che a me paiono non solo rivolte agli autocrati o aspiranti tali di tutto il mondo (sovranisti o neoliberali che siano), ma anche una larvata critica allo stesso ruolo papale sperimentato nei secoli e fin anche al premierato attualmente in discussione.
    João Pedro Stédile, che nell’anteprima aveva esordito salutando tutti noi presenti con “compagni”, ha detto con enfasi davanti a Bergoglio: Papa Francesco, vi porto un abbraccio forte di tutto il popolo “sem Terra” del Brasile: siamo uniti e preghiamo per te. Porto anche parole del nostro vescovo dei Senza Terra, il vescovo Pedro Casaldáliga Plá, che purtroppo non è più con noi. Egli ci disse: “Maledette siano tutte le recinzioni, maledette siano tutte le proprietà private che ci impediscono di vivere e di amare. Grazie.
    Elda Baggio, operatore umanitario di “Medici senza frontiere” (…) il primo passo consiste nel mettersi dalla parte dei migranti, delle vittime, ascoltarli, lasciare che possano raccontarsi e far sentire la loro voce. (…) come vivere questa conversione di prospettiva, questo cambiamento di prospettiva? Che cosa ci può aiutare a farlo?

    Risposta del papa
    “È proprio il Vangelo che ci dice di metterci dalla parte dei piccoli, dalla parte dei deboli, dalla parte dei dimenticati. (…). E Gesù, con il gesto della lavanda dei piedi che sovverte le gerarchie convenzionali, ci dice lo stesso. È sempre Lui che chiama i piccoli e gli esclusi e li pone al centro, li invita a stare in mezzo agli altri, li presenta a tutti come testimoni di un cambiamento necessario e possibile. Con le sue azioni Gesù rompe convenzioni e pregiudizi, rende visibili le persone che la società del suo tempo nascondeva o disprezzava. Questo è molto importante: non nascondere le limitazioni. (…) Gesù non le nascondeva. (…)

    Imponente, organizzata e propositiva la presenza delle donne cui è stato riservato uno spazio adeguato. Da segnalare i numerosi interventi on line dalla Terra Santa di donne impegnate per la pace, israeliane e palestinesi, di religione ebraica, musulmana e cattolica, inframmezzate ai vari interventi sul palco. L’intervento (purtroppo nella seconda parte) di tre giornaliste di Avvenire, che testimoniano dell’insegnamento ricavato dalle interviste realizzate a donne Premi Nobel, attiviste, mediatrici: “Tutte insieme, con le loro parole, ci hanno insegnato che il mondo potrebbe cambiare, se i potenti della Terra si convincessero che occorre invitare ai tavoli dei negoziati le donne. Senza, metà dell’umanità non è rappresentata. Senza, le voci dei deboli, delle vittime e di tutti coloro che sono tenuti ai margini del potere esattamente come accade alle donne, sono più flebili”.

    E, infatti il papa ha chiuso i suoi interventi riferendosi proprio alle donne.
    “Abbiamo ascoltato le donne. E il mondo ha bisogno di guardare alle donne per trovare la pace. Sono le mamme. Le testimonianze di queste coraggiose costruttrici di ponti fra israeliani e palestinesi ce lo confermano: «Sono sempre più convinto che il futuro dell’umanità non è solo nelle mani dei grandi leader, delle grandi potenze e delle élite. È soprattutto nelle mani dei popoli. Voi, però, tessitrici e tessitori di dialogo in Terra Santa, per favore, chiedete ai leader mondiali di ascoltare la vostra voce, di coinvolgervi nei processi negoziali, perché gli accordi nascano dalla realtà e non dalle ideologie. Ricordiamo che le ideologie non hanno piedi per camminare, non hanno mani per curare le ferite, non hanno occhi per vedere le sofferenze dell’altro. La pace si fa con i piedi, le mani e gli occhi dei popoli coinvolti, insieme tutti.
    La pace non sarà mai frutto della diffidenza, frutto dei muri, delle armi puntate gli uni contro gli altri. San Paolo dice: «Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato». E ha concluso: “Fratelli e sorelle, le nostre civiltà in questo momento stanno seminando, distruzione, paura… siamo seminatori di speranza! Ognuno cerchi il modo di farlo, ma seminatori di speranza, sempre. È quello che state facendo anche voi, in questa Arena di Pace: seminare speranza. Non smettete. Non scoraggiatevi. Non diventate spettatori della guerra cosiddetta “inevitabile” no. Come diceva il vescovo Tonino Bello: “In piedi tutti, costruttori di pace!”. Tutti insieme. Grazie”.
    Di certo un evento di speranza, se avrà gambe porterà buon frutto.

    Luigi Giario